Salvo Torre è professore associato di Geografia presso l'Università degli…
Pubblichiamo un estratto dal libro di Salvo Torre Contro la Frammentazione. Movimenti sociali e spazio della politica (2018).
“L’enorme numero di conflitti ecologici, il primo movimento globale di opposizione ai modelli patriarcali, l’insieme delle proposte di costruzione di nuovi modelli ecologici di comunità sono forse il segno più evidente della nostra fase storica e ne rappresentano il limite tangibile, uno dei luoghi in cui si sta esaurendo il modello della società moderna, così come i principi dell’economia capitalistica”.
Da diversi anni ormai i movimenti sociali che sono emersi in tutto il pianeta hanno dimostrato di poter rappresentare una grande novità politica e di possedere la capacità di agire in modo determinante in grandi contesti di trasformazione. Il mio ragionamento parte dal presupposto che nella fase storica attuale si stia realizzando una transizione di lungo periodo determinata dalla crisi irreversibile del sistema economico globale e dall’apertura di prospettive inedite per l’organizzazione della vita sul pianeta. Si tratta di un assunto, condiviso da molti, che deriva dal grande dibattito che da qualche decennio considera l’insieme di ciò che sta avvenendo come un complesso tracollo che segna la fine della modernità e di quel sistema economico che ha determinato una radicale trasformazione della biosfera e della storia delle società umane.
Negli ultimi anni, seguendo i tanti pensatori che rappresentano una parte consistente della critica alla società globale, mi sono posto il problema di inquadrare all’interno di questa fase alcuni dei processi che coinvolgono relazioni ecologiche, differenti soggetti politici e modelli di organizzazione sociale, cercando di identificare, quando possibile, gli elementi di novità e di conflitto. Specificamente quelle tensioni che, secondo una lettura marxista tradizionale, possono essere individuate come i «semi della dissoluzione», quegli elementi che partecipano alla destrutturazione dei rapporti sociali consolidati e che rappresentano al contempo i luoghi in cui si inizia a costruire la società futura. Secondo un principio analogo, anche l’analisi decostruzionista, che guida i metodi di applicazione degli studi postcoloniali, presuppone che nella loro successione storica le società si trasformino a partire da elementi che emergono al loro interno, per poi disseminarsi e concorrere alla loro trasformazione.
Gli studi postcoloniali e in generale tutto il dibattito sull’esigenza di decolonizzare il pensiero politico negli ultimi anni hanno posto la questione in termini molto più ampi e profondi di quanto non fosse avvenuto nel corso del secolo precedente. Quel dibattito ha presentato in modo chiaro la necessità di ricostituire alcuni elementi fondamentali dell’interpretazione della nostra storia, così come alcune idee, a partire dalla stessa categoria di libertà, che hanno sostenuto i movimenti sociali. Tutto ciò in realtà ci permette di analizzare il contesto attuale al di fuori dell’esigenza della ricerca di un gruppo sociale di riferimento o di uno schema storico ineludibile, al di fuori della costruzione tipicamente occidentale in cui la storia è necessariamente indirizzata verso una finalità precisa. Gli elementi di mutamento non si trovano infatti solo nell’ambito della destrutturazione del potere, ma anche nel cambiamento di quelle forme di opposizione che seguono l’intera storia dei conflitti che animano un modello sociale. Per il materialismo storico, il problema era interpretabile chiaramente nelle forme assunte dalla contraddizione tra le forze produttive e le modalità attraverso cui i rapporti di produzione erano regolati, soprattutto nelle loro forme giuridiche. Secondo Marx ([1857-58]/1968), in un dato momento i rapporti tradizionali diventano un ostacolo per l’affermazione di nuove forze produttrici e si genera un conflitto che si risolve con la nascita di nuove forme sociali, come è avvenuto nel caso del collasso della proprietà feudale. In effetti nell’ultimo quarantennio i vecchi vincoli nazionali sono diventati un ostacolo ai processi di globalizzazione e la contraddizione che si è generata contribuisce adesso a ridefinire la nostra epoca. Ma tutto ciò implica anche un’esasperazione del tradizionale conflitto tra forme dell’economia e forme della politica, tra capitalismo e democrazia, che pone una questione sostanziale all’interpretazione delle forme della politica. Si ripropongono questioni classiche dello sviluppo ineguale e insieme si ridefiniscono tutte le relazioni sociali. Si tratta di una questione che riguarda necessariamente la maggioranza della popolazione del pianeta, destinata ad essere definitivamente esclusa dalla ricchezza e a cercare alternative per la sopravvivenza. In questo quadro, si può utilizzare anche la dicotomia generatrice di conflitto che esiste, nel pensiero di Aimé Césaire (1955) e Franz Fanon (1961), tra i colonizzatori bianchi e i colonizzati neri. Secondo quell’analisi, la massa indistinta che non possiede più le diverse culture di provenienza e che è stata prodotta dalla colonizzazione adesso cerca di ricollocarsi nelle società colonizzatrici.
La riformulazione della grande tradizione di pensiero che ha prodotto negli ultimi secoli l’idea stessa di società non è quindi un processo semplice né può essere lineare, ma la grande novità è che, con ogni evidenza, negli ultimi decenni ha cessato di essere una proposizione esclusivamente analitica, per trasferirsi all’interno di pratiche quotidiane inedite che interessano gran parte degli abitanti del pianeta. La mia idea è che alcune tipologie di conflitto stiano esprimendo direttamente quel processo di mutamento e concorrano a destrutturare il modello sociale che affronta ormai una crisi irreversibile, dopo aver ridefinito l’intero sistema vivente del pianeta. L’insieme delle forme di opposizione che si trovano ormai ovunque e che iniziano ad assumere una propria specifica prospettiva sono il segno evidente di tale passaggio, ma anche uno dei luoghi in cui si può notare la grande trasformazione in atto. L’enorme numero di conflitti ecologici, il primo movimento globale di opposizione ai modelli patriarcali, l’insieme delle proposte di costruzione di nuovi modelli ecologici di comunità sono forse il segno più evidente della nostra fase storica e ne rappresentano il limite tangibile, uno dei luoghi in cui si sta esaurendo il modello della società moderna, così come i principi dell’economia capitalistica. L’esplosione capillare di conflitti contro i processi di accumulazione è propriamente il luogo in cui si determinano e agiscono le forme politiche della crisi sociale.
Salvo Torre è professore associato di Geografia presso l'Università degli Studi di Catania, insegna Geography e Geografia culturale presso la SDS di lingue con sede a Ragusa. Fa parte del comitato scientifico della rivista Movimentos Sociais e Dinâmicas Espaciais (Grupo MSEU – Récife) e del Right City Lab dell’Università di Salerno, è Condirettore della collana Ecologia Politica, Orthotes edizioni. Si è occupato di diverse tematiche di studio, tra cui i processi di nascita della città contemporanea, la dismissione industriale, i conflitti urbani postcoloniali. Ecologie Politiche del Presente